Ciclo di seminari su Green Deal, Next Generation EU, PNNR

Presentazione a cura del Prof. Francesco Bilancia, Ordinario di Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e coordinatore scientifico, insieme con la Dott.ssa Marta Ferrara, del ciclo di conferenze.


Presso l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, nell’ambito del Dipartimento di Scienze giuridiche e sociali, in collaborazione con il Corso di dottorato di ricerca in Business Institutions Markets e con il Dipartimento di Economia, ha preso avvio un Ciclo di Seminari in tema di Green Deal, Next Generation EU, PNRR

Gli incontri, condotti da studiosi di diverse discipline e con competenze scientifiche interdisciplinari, prendono avvio dall’inquadramento tematico mosso dalla crisi climatica e dal riscaldamento globale, per definire significato e valore dei paradigmi dello “Sviluppo sostenibile” e della c.d. Economia circolare, allo scopo di misurare l’impatto di questi obiettivi sull’evoluzione delle politiche pubbliche, compresi i concreti profili applicativi della “transizione ecologica”.

Seguendo il flusso degli argomenti dei numerosi seminari previsti, ci si renderà conto che, lungo le linee degli investimenti e lo sviluppo delle principali riforme imposte quali condizioni dell’intervento finanziario previsto, saranno oggetto di riflessione quasi tutti i complessi paradigmi teorici toccati dal recovery fund

A partire dall’impatto delle nuove “European policies” e delle nuove forme di intervento pubblico nell’economia sul regime della concorrenza. Da qui ci si muoverà lungo l’asse delle riforme della governance economica e degli assetti di governo nazionale, comprendente una visione di impatto sul sistema delle autonomie, sulle fonti del diritto e sull’organizzazione amministrativa. Per procedere con riflessioni in materia di proprietà industriale, processo civile, informatizzazione della pubblica amministrazione e semplificazione dei procedimenti. 

L’articolazione delle competenze coinvolte apre lo sguardo anche sui profili della comunicazione istituzionale e pubblica, sui temi dell’equità e della solidarietà sociale, della parità di genere, della giustizia tributaria, della digitalizzazione dell’economia e delle amministrazioni pubbliche, fino alla riforma delle procedure fallimentari in relazione alle crisi aziendali. 

La questione degli assetti istituzionali e del sistema delle relazioni sociali ed economiche a valle dell’emergenza pandemica – presente in tutti gli ambiti tematici richiamati – nella prospettiva di ipotizzare previsioni su cosa potrà condurre con sé l’auspicato “ritorno alla normalità”, aprirà infine la riflessione sull’intreccio dei mutamenti in atto nel contesto istituzionale con il dibattito relativo al “Futuro dell’Unione europea”. 

NdR: Qui di seguito pubblichiamo le singole locandine ed ogni informazione utile per seguire i seminari.

Comuni e PNRR: la sfida della trasformazione del settore pubblico in uno scenario di dissesto finanziario

di Camilla Buzzacchi

La difficile situazione finanziaria dei Comuni è oggetto da anni di previsioni legislative che hanno cercato di mettere a disposizione rimedi che sostanzialmente sono consistiti in prestiti: come tutti i prestiti, le anticipazioni di liquidità fornite da Cassa Depositi e Prestiti a partire dal dl. 35/2013 erano destinate ad essere restituite, ma la disciplina che le aveva introdotte aveva permesso un arco temporale di addirittura trent’anni per tale rientro. 

Corte dei conti e Corte costituzionale hanno gradualmente ma costantemente sottoposto al proprio sindacato previsioni della legislazione nazionale – il decreto del 2013 e le sue successive modificazioni – che permettevano restituzioni di questo debito che erano incoerenti con la logica del mandato. Infatti se le amministrazioni del territorio possono contare su tempi di rientro di tre o anche solo due decenni, la responsabilità di chi spende viene meno, andandosi così a svuotare il contenuto sostanziale del principio democratico nonché l’altro principio che ormai riveste un ruolo centrale non solo nel quadro costituzionale ma anche nel comune sentire: l’equità tra generazioni, in virtù della quale il quadro normativo non deve permettere al personale politico – dello Stato e delle autonomie – di usare risorse che vanno restituite, ma non nell’arco di quel mandato bensì in mandati successivi, ad opera di amministratori che seguiranno.

La sentenza n. 80 del 2021 della Corte costituzionale ha inferto l’ultimo colpo a questa legislazione, che dal punto di osservazione dello Stato è vista come un aiuto alle autonomie, mentre nella prospettiva delle istituzioni di garanzia è stata ripetutamente sanzionata per la sua portata apparentemente di favore per i Comuni: per effetto di essa infatti queste amministrazioni sono state indotte a una gestione contabile piuttosto disinvolta, che invece di utilizzare le anticipazioni per pagare i creditori le hanno destinate ad artifici contabili che hanno finito per consentire nuova spesa. Andando a incidere sul risultato di amministrazione, quel saldo che ai sensi del D.lgs. n. 118/2011 – la disciplina di armonizzazione dei bilanci – rappresenta il rapporto tra debiti e crediti, queste anticipazioni sono state trattate come indebitamento legittimo, ovvero quello che la Costituzione contempla all’art. 119, co. 6: e diventando debito legittimo, esse vengono utilizzate dai Comuni per destinazioni contrarie a questa stessa disposizione, ovvero esborsi di natura corrente. Mentre la Costituzione consente alle autonomie territoriali di indebitarsi solo per spese di investimento, che generino crescita economica e valore sociale.

La decisione n. 80 pare però avere introdotto elementi di destabilizzazione «definitiva» a carico della situazione contabile dei Comuni: essi infatti, a partire da questa pronuncia, sono destinati ad andare incontro ad un dissesto certo, e il pericolo insito in questo scenario è tale che il Governo ha immediatamente «sposato» la causa di queste istituzioni e si è messo a studiare soluzioni che evitino l’epilogo più drammatico. Ma le stesse associazioni rappresentative di questi enti hanno preso posizione: a metà maggio Anci e Upi, a nome della Conferenza Stato-città e autonomie locali, hanno ritenuto di intervenire in merito a tale questione. Esse hanno invocato una soluzione normativa che metta in sicurezza i bilanci di tanti Comuni che rischiano – e questa è la criticità a breve – di incontrare in via definitiva il dissesto; ma che in più – e questa è la criticità a lungo termine – rischiano di essere totalmente non attrezzati rispetto alle politiche che dovranno intraprendere nel quadro degli interventi di trasformazione del settore pubblico per effetto dei finanziamenti europei veicolati dal Piano di ripresa e resilienza.

Nell’Appunto sintetico sugli interventi di sostegno agli enti locali in condizioni di debolezza finanziaria, anche a fronte della sentenza CCost n. 80/2021 del 12 maggio scorso Anci e Upi osservano che fino alla sentenza n. 80/2021 non si era «mai messo in discussione la liceità di un ripiano specifico delle anticipazioni, coerente con la restituzione su trent’anni delle somme erogate. Il punto critico riguardava l’esigenza di neutralizzare le somme in questione (necessariamente accertate in entrata, quindi nella parte attiva del bilancio), per evitare l’indebito ampliamento della capacità di spesa corrente dell’ente beneficiario». Invece la nuova sentenza del 2021 mette in mora anche il meccanismo di rimborso a scalare che la legislazione più recente aveva introdotto, soprattutto per conformarsi alle sentenze n. 4 e 115/2020 della Corte costituzionale, che da ultimo avevano sanzionato la legislazione contabile.

Nel documento si prospetta un’evoluzione che viene qualificata «devastante»: «alle prime analisi, dei circa 1.400 Comuni coinvolti nella costituzione del Fondo anticipazione liquidità circa 950 risultano in disavanzo nel 2019, come anche 8 Province. Richiedere un ripiano ordinario (diciamo in tre/cinque anni) comporterebbe una maggior esposizione annuale moltiplicata mediamente per 8 o per 4,5 volte, con risultati disastrosi per una parte degli enti già in disavanzo nel 2019 e molto pesanti anche per i circa 450 enti in avanzo, almeno per quelli con avanzi esigui e quote di anticipazione più rilevanti. Tra gli enti in disavanzo, circa un terzo registra quote di maggior ripiano necessario, almeno in questa ipotesi-base, complessivamente per oltre 100 euro pro capite. Va anche tenuto a mente che solo poco più della metà dei Comuni in piano di riequilibrio sono coinvolti dagli effetti della sentenza. Su questi aspetti, numerosi interventi giurisprudenziali hanno via via messo in mora taluni comportamenti di Regioni ed enti locali considerati illegittimi, ma non il principio applicativo generale di ripiano/restituzione trentennale, peraltro in vigore fin dal 2015 per le Regioni senza che sia tuttora sorta alcuna contestazione».

Di conseguenza il documento si appella affinché venga adottato dallo Stato un «intervento di sistema, volto ad impedire che le convergenti debolezze precipitino in un tracollo della capacità amministrativa – corrente e d’investimento – nelle funzioni di molti enti locali, accentuando per questa via i divari territoriali che siamo impegnati invece a colmare, anche con le risorse nazionali ed europee connesse al PNRR». Ma ancora di più il soccorso dello Stato viene invocato in vista dell’efficace impiego delle risorse aggiuntive da PNRR, affinché sia «aumentata la capacità amministrativa nei campi finanziario, tecnico, sociale e della sicurezza e innestare un percorso di reale convergenza verso una stabilità della gestione, anche finanziaria».

Diverse sono evidentemente le criticità che si prospettano all’orizzonte. Da un lato una crescente difficoltà dei Comuni nel fronteggiare le loro funzioni ordinarie, e dunque nel dare risposta ai bisogni delle loro comunità con una spesa per servizi che diventa sempre meno sostenibile. Dall’altro l’incapacità nell’intraprendere un percorso di innovazione profonda, di ripensamento delle politiche e degli strumenti di soddisfacimento dei diritti, che il PNRR astrattamente renderà possibile da quest’anno e fino al 2026. La straordinaria distribuzione di risorse di cui la Repubblica italiana auspicabilmente beneficerà per effetto del programma Next Generation EU è destinata ad essere incanalata verso molteplici obiettivi nominalmente virtuosi, di cui una grande parte saranno trasformazioni delle modalità di agire della Pubblica amministrazione, centrale e del territorio. Dunque anche per Comuni e Regioni si apre la scommessa del cambiamento – e in larga misura un cambiamento che dovrebbe essere digitale – che è però fortemente condizionato dalla capacità amministrativa di istituzioni che invece, in questo passaggio, appaiono sempre più costrette a trovare soluzioni di ripiego per assenza di risorse finanziarie, che l’emergenza sanitaria ha in più dirottato verso esigenze straordinarie che non erano state messe in conto, e che la finanza locale ha dovuto immediatamente sostenere.

Il documento di Anci e Upi prospetta varie soluzioni, e varie forze politiche dell’attuale maggioranza parlamentare stanno già dimostrandosi sensibili alla questione: l’auspicio è che non si metta in campo un rimedio nuovamente incompatibile rispetto al quadro dei principi costituzionali. È evidente infatti che le responsabilità per una situazione di evidente difficoltà finanziaria di Comuni e Regioni non sono certo addebitabili alle Corti e alle loro sentenze, ma a tante amministrazioni del territorio poco avvedute nell’impiego delle risorse, nonché ad una legislazione dello Stato centrale che invece di fare leva sulla responsabilità politica degli amministratori locali punta piuttosto a renderli sempre più dipendenti da erogazioni dello Stato, che svuotano il principio di autonomia e penalizzano la corretta gestione amministrativa e finanziaria soprattutto di Comuni ed enti di varia natura. Mentre proprio di sana e corretta gestione contabile e amministrativa si sente la necessità nel momento in cui ci si prepara a ricevere finanziamenti che potenzialmente potrebbero trasformare nel profondo la realtà comunale, innescando un’innovazione di sistema rispetto alla quale però sia lo Stato che le autonomie devono dimostrare serietà e autentica responsabilità.

Le disuguaglianze territoriali in Italia, nell’epoca della Pandemia e oltre

di Carmen Vitale

Le disuguaglianze territoriali all’epoca della globalizzazione.

Nell’ultimo ventennio in tutto l’Occidente, le disuguaglianze territoriali si sono moltiplicate.

Un’analisi OCSE mostra che fra 1995 e il 2014 lo squilibrio in termini di reddito pro-capite tra settori della popolazione, in costante crescita quasi ovunque, è molto più accentuato nei paesi meno sviluppati (https://www.oecd.org/els/soc/49499779.pdf).

Negli ultimi anni, si è assistito in ambito internazionale al proliferare di una serie di studi relativi alla costruzione di indicatori compositi che valutano complessivamente la qualità della vita e dello sviluppo “oltre il PIL” (ne danno conto, Cersosimo, Nisticò, Un paese disuguale: il divario civile in Italia, Stato e mercato, n. 98, 2013, 265). In questa accezione più ampia, il tema delle disuguaglianze territoriali si lega a quelle sociali (v. anche infra) e diventa cruciale nelle politiche europee e globali per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile (https://www.agenziacoesione.gov.it/comunicazione/agenda-2030-per-lo-sviluppo-sostenibile/).

Del resto, già tra gli obiettivi fondanti dell’Unione (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:11957E/TXT&from=BG) la coesione territoriale (oltre che sociale ed economica) è considerata uno degli strumenti principali per la definizione di una cittadinanza europea. 

A fronte di pressioni crescenti che rischiano di minare le fondamenta del progetto comunitario da più parti (le conseguenze della Brexit, le crisi economiche, i fenomeni migratori verso l’Europa, le incertezze nella gestione dell’emergenza sanitaria); diventa allora indispensabile verificare l’efficacia(http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01075261.pdf) delle politiche di coesione per la riduzione delle disuguaglianze territoriali.

Le disuguaglianze territoriali in Italia.

In Italia, in particolare, la disuguaglianza territoriale (https://www.oecd.org/governance/oecd-regions-and-cities-at-a-glance-26173212.htm) è un nodo irrisolto sin dai tempi della formazione dello Stato unitario nel 1865. 

I dati mostrano, infatti, come in tema di disuguaglianze, l’Italia (https://www.istat.it/storage/rapporti-tematici/territorio2020/capitolo_1.pdf).  

sia sostanzialmente una somma di differenti paesi nel paese, diversi almeno quanto lo sono tra loro gli stati dell’Unione europea.

Tuttavia, se in un primo tempo, il divario territoriale è stato analizzato essenzialmente nella prospettiva economica, sul presupposto che lo sviluppo economico avrebbe determinato automaticamente anche il benessere sociale, più di recente si è osservato come il divario civile, (vale a dire quello legato al diverso grado di godimento dei diritti di cittadinanza) sia ben più marcato di quello economico (https://www.istat.it/it/benessere-e-sostenibilit%C3%A0/la-misurazione-del-benessere-(bes)/gli-indicatori-del-bes). Per altro verso, al classico divario Nord-Sud, si affianca un crescente divario Est-Ovest (https://www.lavoce.info/archives/63028/le-tante-italie-della-diseguaglianza/)

La Strategia nazionale per le aree interne. 

Su questi temi, va richiamata la recente approvazione, nel quadro delle politiche europee di coesione, della Strategia Nazionale per le aree interne, territori fragili che, in ragione della distanza dai principali centri di erogazione dei servizi (di mobilità, salute e istruzione) sono interessate da fenomeni di abbandono, spopolamento e ritardo nello sviluppo(https://www.agenziacoesione.gov.it/strategia-nazionale-aree-interne/). 

Il dato nuovo della SNAI è però aver immaginato traiettorie di sviluppo locali, secondo un approccio place based, che partono dal riconoscimento (e dalla valorizzazione) delle specificità dei luoghi e muovono secondo due direttrici principali: valorizzazione delle risorse naturali e culturali e coinvolgimento attivo delle comunità locali (https://ec.europa.eu/regional_policy/archive/policy/future/pdf/report_barca_v0306.pdf).

Non è possibile, ad oggi, valutare definitivamente gli effetti della Strategia. E’ possibile tuttavia indicarne qualche elemento di debolezza: il procedimento (dall’individuazione delle aree alla progettazione degli interventi) vede il coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali rischiando di generare complessità procedurale e ritardi nell’attuazione; proprio rispetto al tema del coinvolgimento delle comunità locali in alcune aree si evidenzia la maggiore difficoltà, sia per ragioni di contesto (qualità istituzionale su cui infra), che per l’oggettiva difficoltà che incontra ancora la disseminazione delle c.d. buone pratiche di cittadinanza attiva e consapevole.

Gli effetti della Pandemia sulle disuguaglianze territoriali

In questa cornice di massima, la Pandemia da Covid 19 ha ulteriormente aggravato i divari territoriali esistenti. La risposta delle diverse aree geografiche italiane all’emergenza sanitaria è stata infatti disomogenea e disarticolata sotto diversi profili (http://www.astrid-online.it/rassegna/2020/07-04-2020-n-316.html): rispetto all’adeguatezza dell’organizzazione territoriale del servizio sanitario, (allegato8029029.pdf (quotidianosanita.it), ma anche all’effettiva garanzia del diritto di istruzione (https://www.istat.it/it/files//2020/04/Spazi-casa-disponibilita-computer-ragazzi.pdf.) o ancora con riguardo alla fruizione (virtuale) dei contenuti culturali.

A fronte di dati che mostravano, già prima della Pandemia, non solo il perdurare del divario ma addirittura una sua accelerazione (http://lnx.svimez.info/svimez/rapporto-2019-tutti-i-materiali/), la questione del divario territoriale (in particolare quello tra Nord e Sud Italia) è rimasta sostanzialmente in ombra rispetto ad altre priorità dell’agenda politica, prevalentemente a causa del fallimento degli interventi messi in campo nei decenni passati e nonostante il rilevante impiego di risorse pubbliche, oggetto di sprechi e gestioni inefficienti a livello locale..

Dalle disuguaglianze territoriali alle disuguaglianze sociali. Inclusione e Coesione nel PNRR italiano.

L’attualità mostra, invece, una rinnovata attenzione ai temi legati più in generale allo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree non adeguatamente sviluppate. Lo si deve, in particolare, all’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Dipartimento per le Politiche Europee – Piano nazionale di ripresa e resilienza) nell’ambito del Next generation EU, che tra i suoi obiettivi generali vede proprio la coesione sociale, economica e territoriale (missione 5, inclusione e coesione).

Più nel dettaglio, si prevede lo stanziamento di 19.8 miliardi di euro (6.66 per le politiche per il lavoro; 11.17 per infrastrutture sociali, famiglie e terzo settore, 1.98 interventi speciali per la coesione sociale, di cui 83 milioni destinati alla SNAI). 

Come si vede, la parte più significativa delle risorse viene destinata alle c.d. infrastrutture sociali. In proposito, occorre sottolineare come proprio il Terzo settore abbia costituito una rete di protezione importante per far fronte all’emergenza specie nei contesti marginali. Tuttavia, al crescere dei bisogni e in assenza di un adeguato supporto molte realtà nel post pandemia si sono viste costrette a contrarre le proprie attività (https://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2020/11/12/news/terzo_settore_e_pandemia_dopo_tutto_questo_ad_aiutare_chi_resta_indietro_non_ci_sara_nessuno_-274110678/).

Nel Piano si evidenzia, inoltre, il ruolo delle istituzioni locali nella co-progettazione degli interventi assieme al Terzo settore, con particolare riguardo agli ambiti della cultura e dello sport, ritenuti centrali per ottenere una maggiore inclusione sociale. Particolare rilievo viene poi attribuito a progetti volti alla riqualificazione dell’abitare, e ad interventi di housing sociale, anche attraverso una pianificazione integrata e partecipata da parte delle Città metropolitane (dove l’integrazione riguarda tanto i soggetti, che gli oggetti della pianificazione includendo i territori dei comuni limitrofi più piccoli con l’obiettivo di ricucire il tessuto extra urbano).

Ovviamente occorrerà verificare l’attuazione del Piano, che però indubbiamente apre una serie di questioni di non poco rilievo, legate essenzialmente all’attuazione delle riforme c.d. “trasversali” (pubblica amministrazione, giustizia, fisco), destinate ad incidere in misura significativa sulla capacità degli interventi immaginati per la soluzione dei problemi fotografati nel Piano.

E’ stata sottolineata, ad esempio, la relazione tra qualità istituzionale e disuguaglianze territoriali. In proposito, come si legge nello studio condotto dalla London School of Economics (https://ot11ot2.it/approfondimenti/coesione-disuguaglianze-e-qualita-istituzionale), aver trascurato la dimensione istituzionale locale nelle politiche di sviluppo è una delle maggiori cause di quelle che vengono definite “strategie di spreco”, ovvero la realizzazione di interventi che, dopo effetti positivi di breve termine, lasciano il territorio in una condizione simile o peggiore di quella precedente. La dimensione istituzionale delle politiche di sviluppo consente invece di trasformare le “strategie di spreco” in “strategie di guadagno”, ossia in interventi che possono produrre risultati più sostenibili nel medio-lungo periodo e generare valore aggiunto anche nella capacità di affrontare al meglio i temi della coesione e delle disuguaglianze territoriali e sociali.

E’ stato osservato, tuttavia, https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2021/05/COMMENTO-DI-SINTESI_PNRR_FORUMDD.x96206.pdf, che rispetto ai temi indicati, nel Piano mancherebbero un adattamento delle azioni indicate alle differenze territoriali ed alle varie forme di marginalità territoriale e una visione unitaria rispetto al tema dei divari territoriali, che non può risolversi in singoli strumenti di intervento (per di più residuali), ma richiede invece una metodologia di intervento pubblico rivolta ai luoghi e alle persone (https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2020/07/Liberiamo-il-potenziale-di-tutti-i-territori-La-proposta-e-gli-allegati_DEF.x61577.x96206.pdf).

Più in generale, occorrerebbe un monitoraggio aperto e costante sul modello di open coesione (https://opencoesione.gov.it/it/ ) dell’attuazione del Piano, per verificare l’idoneità delle azioni previste a realizzare un effettivo miglioramento del benessere collettivo e scongiurare il rischio che il Paese torni ad essere esattamente com’era prima della Pandemia.

Ma come è stato sottolineato siamo all’inizio. All’inizio dell’inizio.

Registrazione del Seminario telematico “La riforma della Pubblica Amministrazione nel prisma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”

E’ disponibile la registrazione del seminario telematico “La riforma della Pubblica Amministrazione nel prisma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, organizzato da Orizzonti del Diritto Pubblico e tenutosi il 14 aprile 2021 sulla piattaforma Zoom.

Hanno partecipato: Carla Barbati (Università IULM, ex Presidente del Consiglio Universitario Nazionale); Carlo Cottarelli (direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, Università Cattolica); Elisa D’Alterio (Università di Catania); Francesco Merloni (Università di Perugia, ex Presidente ANAC); Stefano Civitarese Matteucci (Università di Chieti-Pescara); Alessandra Pioggia (Università di Perugia); Gianluca Gardini (Università di Ferrara).

Guida ragionata al dibattito in corso su riforme amministrative e Recovery fund

Il dibattito che sta ruotando attorno all’amministrazione pubblica e al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) dell’Italia mostra una notevole varietà di approcci e soluzioni.

L’intento di questa guida ragionata è di fornire al lettore e a coloro che vorranno partecipare al seminario telematico La riforma della Pubblica Amministrazione nel prisma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che si terrà il 14 aprile su Zoom una prima e sintetica panoramica delle posizioni e dei temi che sono emersi nel dibattito italiano. Si tenga presente che tale panoramica tiene conto solo dei contributi che sono liberamente accessibili online e non ha nessuna pretese di completezza, considerando la grande quantità di contributi che sono emersi e che emergono continuamente sul tema, in particolare sui quotidiani nazionali.

Il dibattito italiano attorno al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) vede l’amministrazione pubblica coinvolta in due modi differenti: sia come soggetto che metterà concretamente in atto i vari progetti selezionati e inseriti all’interno del Piano, sia come oggetto di intervento di una parte delle riforme indicate all’interno del Piano, come richiesto peraltro dalla stessa Commissione europea.

Relativamente al primo aspetto i contributi si concentrano sulla c.d. governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cioè sull’individuazione delle strutture amministrative che si occuperanno dell’attuazione concreta dei vari progetti individuati nel PNRR e delle loro rispettive relazioni.

Il dibattito si è formato principalmente a partire dalla prima proposta di governance presentata dal governo Conte all’interno della bozza di dicembre del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. In quell’occasione il governo proponeva una grande struttura “parallela” ai Ministeri, con poteri sia di coordinamento sia di gestione. Questa avrebbe avuto al vertice un Comitato Esecutivo, composto da Presidente del Consiglio, Ministro dell’Economia e Ministro dello Sviluppo Economico. Una proposta poi stralciata dalla bozza di Piano presentata lo scorso 12 gennaio al Parlamento (e attualmente in discussione al Senato) e sostituita dall’attuale governo con una proposta di governance centrata sul Ministero dell’Economia e delle Finanze e sugli uffici interni delle amministrazioni centrali.

Le soluzioni di governance alternative che sono emerse nei contributi che abbiamo raccolto sono molto differenti tra loro: si va da un governance a tre livelli (Rapporto Assonime) a una basata sulla costituzione di un ente pubblico nazionale ad hoc per la gestione delle risorse legate al Piano (Fondazione Ugo La Malfa), fino a proposte che valorizzano le strutture amministrative esistenti, da un lato, consigliando principalmente di individuare per tempo e con precisione le “filiere amministrative” già esistenti e di rafforzarle per la gestione del PNRR (Forum Disuguaglianze e Diversità e altre associazioni) e, dall’altro, consigliando di utilizzare accordi tra amministrazioni sul modello britannico centrati sulla valorizzazione del raggiungimento dei risultati (i c.d. public service agreement) (C. Cottarelli e G. Gottardo).

Al di là delle singole soluzioni, tutte le proposte mirano a superare la annosa debolezza delle amministrazioni nella individuazione, nella programmazione e nell’attuazione di progetti da concludere in un periodo di tempo determinato. La fragilità della capacità amministrativa del nostro sistema amministrativo, in particolare del momento della programmazione, viene posta al centro del dibattito e individuata come il problema di maggiore rilievo che la gestione del Piano nazionale deve affrontare. La notizia della consulenza relativa alla costruzione del Piano che il Ministero dell’economia e della finanza avrebbe richiesto alla società McKinsey ha ulteriormente posto l’accento su questo elemento problematico (per alcuni interrogativi sul perché si v. A. Cioffolilli su lavoce.info).

Il secondo aspetto riguarda direttamente le riforme amministrative che dovrebbero caratterizzare gli interventi sull’amministrazione pubblica.

Oltre alla bozza di Piano nazionale di Ripresa e Resilienza del 12 gennaio, il Ministro della Funzione pubblica e il Ministro della transizione digitale hanno presentato in audizione al Parlamento le prime linee programmatiche del loro mandato, prevalentemente riferibili alla costruzione del PNNR.

Le proposte in campo relative alla riforma delle amministrazioni pubbliche sono raggruppate in tre ambiti specifici: la trasformazione digitale del settore pubblico; il rafforzamento e la riqualificazione del capitale umano nella PA; la semplificazione amministrativa.

Su questi temi il dibattito è molto ampio e presenta una varietà di posizioni difficilmente riassumibili e che ci sembra più utile riportare sotto in forma di elenco. Dai contributi selezionati, però, emergono tre aspetti più generali che meritano di essere riferiti. In primo luogo, la grande opportunità che la quantità di risorse che saranno messe a disposizione dal Recovery Fund rappresenta per il rafforzamento del sistema amministrativo italiano. Una tale quantità di risorse non si vedeva da tempo nel settore pubblico. In secondo luogo, la necessità di arricchire di contenuti le linee programmatiche governative, le quali sembrano ancora molto generiche e insufficienti per comprendere la reale portata progettuale del PNRR sulle riforme amministrative. Infine, la necessità di considerare il Piano come un impegno programmatico che non solo riesca a sfruttare al meglio le risorse messe a disposizione oggi, ma che sia anche capace di fare da volano per progetti e riforme più stabili e ampie nel tempo.

Il dibattito sulle riforme amministrative e sul PNRR deve tenere presente, infine, anche il complesso processo di ratifica del Recovery Fund a livello europeo. Prima di poter dispiegare i suoi effetti il Next Generation EU (NGEU) deve essere ratificato da tutti i Parlamenti nazionali e, considerando la recentissima notizia dello sospensione temporanea della ratifica della legge di ratifica del NGEU da parte della Corte costituzionale tedesca in attesa di una sua pronuncia sulla costituzionalità della legge, sembra essere un percorso meno scontato del previsto.

Sulla governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e sulla capacità amministrativa

Ciffolilli A., Perché la Pa si affida alle consulenze esterne, 19 marzo 2021 in https://www.lavoce.info/archives/72956/perche-la-pa-si-affida-alle-consulenze-esterne/

Cottarelli C., Gottardo G., La governance del Recovery Plan. Cosa faranno gli altri paesi?, 17 febbraio 2021, in https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-governance-del-recovery-plan-cosa-faranno-gli-altri-paesi

Fondazione Ugo La Malfa, Next Generation EU. Proposta per il piano italiano, dicembre 2020 in http://www.assonime.it/Stampa/Documents/Next%20Generation_COMPLETO.pdf

Forum Disuguaglianze e Diversità, Movimenta, Forum PA, Proposta per una pubblica amministrazione rigenerata, dicembre 2020 in https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2020/11/Proposta-PA_-versione-finale-25-nov-2020.x97376.x74988.x74988.x26243.pdf

Micossi S. et al., Quale assetto istituzionale per l’impiego dei fondi Next Generation EU, Rapporto Assonime, dicembre 2020 in https://www.bassanini.it/wp-content/uploads/2021/01/ca7ba57889c0d19b05ad1be14ee4230e.pdf

Sulle riforme amministrative nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)

Bassanini F. et al., Interventi di semplificazione e modernizzazione del sistema amministrativo per il rilancio dell’economia, Task  Force per  la  semplificazione  istituita dal Comitato di Presidenza di Assonime, 19maggio 2020, in https://www.bassanini.it/wp-content/uploads/2020/06/Rapporto-Assonime-Semplificazioni-17-giugno-2020.pdf

Carloni E., Quale idea di pubblica amministrazione tra emergenza e Piano di ripresa e resilienza: note critiche, in Astrid Rassegna, n. 1, 2021. in https://www.linkedin.com/posts/carloni-enrico-ba870517_carloni-quale-idea-di-pa-tra-emergenza-e-activity-6751892764415279104-BHMM

Cassese S., La buona burocrazia, 16 Marzo 2021, https://www.irpa.eu/la-buona-burocrazia/

Civitarese Matteucci S., La riforma della pubblica amministrazione nel quadro del “Recovery Fund”, in https://orizzontideldirittopub.com/2021/03/27/la-riforma-della-pubblica-amministrazione-nel-quadro-del-recovery-fund/

Cottarelli C., Gottardo G., Come gestire la Pubblica Amministrazione? I Public Service Agreement britannici, 11 febbraio 2021, in https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-come-gestire-la-pubblica-amministrazione-i-public-service-agreement

Documento del Consiglio Direttivo AIPDA sull’attuazione del Next Generation EU, Forum AIPDA Next generation EU, https://www.aipda.it/wp-content/uploads/2021/02/AIPDA_Next_Generation.pdf

Della Cananea G., Saper spendere: acquisire competenze, ripensare i controlli, in https://www.ilfoglio.it/economia/2021/03/10/news/saper-spendere-acquisire-competenze-ripensare-i-controlli-2002437/

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La Redazione

La riforma della pubblica amministrazione nel quadro del “Recovery Fund”

di Stefano Civitarese Matteucci

Premessa

Il problema della “riforma” dell’amministrazione pubblica e del ruolo del diritto amministrativo non sono mai stati così presenti sui media come negli ultimi tempi. Non che si tratti di cosa nuova, poiché la questione della semplificazione amministrativa è ormai un punto fisso dell’agenda di tutti i governi almeno dalle riforme “Bassanini” dei tardi anni Novanta del secolo scorso.

Il motivo del riaccendersi del dibattito è che la riforma dell’amministrazione pubblica è inserita tra le “condizioni” prevista dal programma “Next Generation EU” (NGEU), che reca in dote per l’Italia circa 200 miliardi di investimenti.1

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel discorso programmatico sul voto di fiducia al Senato ha affermato che la «fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è … una realtà che deve essere rapidamente affrontata».

È, pertanto, assunto condiviso che la questione dell’amministrazione sia al centro del processo di “rilancio e resilienza”, dal momento che sono le strutture pubbliche che dovranno gestirne ogni aspetto anche quando non le riguardi direttamente.

Next Generation EU

Una sintesi della genesi e dei contenuti del NGEU si può reperire qui. NGEU è un programma che si situa all’interno del bilancio a lungo termine dell’Unione. Come si legge sul sito della Commissione, esso dà luogo al più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato dall’UE: “Per ricostruire l’Europa dopo la pandemia di COVID-19 verrà stanziato un totale di 1.800 miliardi di euro. L’obiettivo è un’Europa più ecologica, digitale e resiliente”.

Il Consiglio ha approvato il bilancio a lungo termine dell’UE per il periodo 2021-2027 il 17 dicembre 2020, dopo che il Parlamento europeo aveva approvato il regolamento sul quadro finanziario pluriennale il 16 dicembre.

Il Recovery Plan

Il “dispositivo” per la ripresa e resilienza – il piano di investimenti noto come Recovery Plan – si basa a sua volta su un accordo tra Parlamento europeo e Consiglio raggiunto il 18 dicembre 2020. Questo è il fulcro del NGEU e rende disponibili 672,5 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni per sostenere le “riforme e gli investimenti” effettuati dagli Stati membri.

Secondo quanto previsto nel Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, che formalmente istituisce il “dispositivo per la ripresa e la resilienza”, ciascun paese dovrà presentare il proprio Piano nazionale entro il 30 aprile 2021. In seguito, la Commissione dovrà valutare e approvare tali piani entro due mesi e il Consiglio, a sua volta, assumere la sua decisione definitiva entro un altro mese. I primi finanziamenti potranno quindi partire non prima di agosto 2021.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Lo schema di piano italiano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 gennaio 2021. Secondo quanto dichiarato dal Ministro Franco in una memoria alle Commissioni congiunte 5a, 6a e 14a del Senato della Repubblica V, VI e XIV Camera dei deputati, tale «schema costituisce la base di discussione per il confronto con le Istituzioni coinvolte, in primis il Parlamento, ai fini dell’adozione definitiva del Piano». Al Ministero dell’Economia, guidato dall’ex direttore generale della Banca d’Italia Daniele Franco, è affidata la regia del PNRR.

Entro questo quadro, non sempre nel dibattito che si è avviato risulta chiaro in cosa consistano le condizioni poste dall’Unione Europea riguardo alle riforme. Prima di formulare, quindi, alcuni quesiti sull’orientamento e gli esiti di tali riforme, vediamo di illustrare brevemente questo aspetto. In altre parole, cosa ci chiede l’Europa.

Le raccomandazioni all’Italia per il Semestre Europeo

Il quadro generale offerto dai documenti europei presenta, come probabilmente è normale che sia, ampi margini di vaghezza. Nella più recente guida della Commissione, il Commission Staff Working Document Guidance to Member States Recovery and Resilience Plans del 22 febbraio 2021, si ribadisce che secondo il regolamento 241/21 sopra citato il punto centrale è il collegamento tra i piani nazionali e le specifiche raccomandazioni contenute nei due ultimi cicli semestrali. Gli stati sono invitati a fornire una dettagliata illustrazione di come le misure proposte affrontino tutte o parte di tali raccomandazioni in modo da risolvere o contribuire significativamente a risolvere i problemi a esse sottesi e giustificando ogni ordine di priorità. In particolare, occorre spiegare perché tali priorità siano considerate più significative nel determinare una potenziale crescita economica in modo sostenibile e inclusivo e come il piano costituisca una risposta adeguata e comprensiva alla situazione sociale ed economica del paese.

Vediamo, quindi, quali sono le raccomandazioni indirizzate all’Italia. Queste sono distinte in quattro gruppi:

  • 1.           attuare, in linea con la clausola di salvaguardia generale, tutte le misure necessarie per affrontare efficacemente la pandemia e sostenere l’economia e la successiva ripresa; quando le condizioni economiche lo consentano, perseguire politiche di bilancio volte a conseguire posizioni di bilancio a medio termine prudenti e ad assicurare la sostenibilità del debito, incrementando nel contempo gli investimentirafforzare la resilienza e la capacità del sistema sanitario per quanto riguarda gli operatori sanitari, i prodotti medici essenziali e le infrastrutture; migliorare il coordinamento tra autorità nazionali e regionali;
  • 2.           fornire redditi sostitutivi e un accesso al sistema di protezione sociale adeguati, in particolare per i lavoratori atipici; attenuare l’impatto della crisi sull’occupazione, anche mediante modalità di lavoro flessibili e sostegno attivo all’occupazione; rafforzare l’apprendimento a distanza e il miglioramento delle competenze, comprese quelle digitali;
  • 3.           garantire l’effettiva attuazione delle misure volte a fornire liquidità all’economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese, alle imprese innovative e ai lavoratori autonomi, ed evitare ritardi nei pagamenti; anticipare i progetti di investimento pubblici maturi e promuovere gli investimenti privati per favorire la ripresa economica; concentrare gli investimenti sulla transizione verde e digitale, in particolare su una produzione e un uso puliti ed efficienti dell’energia, su ricerca e innovazione, sul trasporto pubblico sostenibile, sulla gestione dei rifiuti e delle risorse idriche e su un’infrastruttura digitale rafforzata per garantire la fornitura di servizi essenziali; 
  • 4.           migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della pubblica amministrazione.

Per meglio comprendere queste raccomandazioni occorre guardare alla parte motiva del documento del Consiglio sul Semestre Europeo del 20 maggio 2020.

Quanto al sistema sanitario, pur registrando la specializzazione e buona qualità media dei servizi offerti, si rimarca il problema della frammentazione della “governance” e dell’assenza di coordinamento tra autorità centrali e regionali nella risposta alla pandemia. Secondo la Commissione, oltre a migliorare i processi di governance e i piani di preparazione alle crisi, le politiche post Covid-19 dovrebbero puntare a colmare la carenza di investimenti pubblici nell’assistenza sanitaria. A fronte delle attuali proiezioni relative alla forza lavoro nel settore sanitario, dovrebbe essere data priorità all’elaborazione di politiche volte a rimuovere gli impedimenti alla formazione, all’assunzione e al mantenimento in servizio del personale sanitario.

Un secondo aspetto riguarda l’impatto della pandemia sul lavoro e le condizioni sociali, che ha esacerbato una situazione di elevato rischio di povertà o esclusione sociale, povertà lavorativa e disparità di reddito con notevoli differenze regionali. Pertanto, secondo la Commissione, gli ammortizzatori sociali dovrebbero essere rafforzati per garantire redditi sostitutivi adeguatiindipendentemente dallo status occupazionale dei lavoratori, in particolare di coloro che si trovano di fronte a carenze nell’accesso alla protezione sociale. Il rafforzamento del sostegno al reddito e del reddito sostitutivo viene ritenuto particolarmente pertinente per i lavoratori atipici e per le persone in situazioni di vulnerabilità. Così come si ritiene fondamentale la prestazione di servizi per l’inclusione sociale e nel mercato del lavoro. Si suggerisce inoltre di migliorare la diffusione del reddito di cittadinanza tra i gruppi vulnerabili e di affrontare il problema delle persone impiegate nell’economia sommersa, in particolare in settori come l’agricoltura, il settore alimentare e l’edilizia abitativa, 

In prospettiva la Commissione ritiene cruciale, per una ripresa sostenibile e inclusiva, l’integrazione nel mercato del lavoro delle donne e dei giovani inattivi. In proposito nel documento si menzionano le recenti misure volte a rafforzare i servizi pubblici per l’impiego e a integrarli meglio con i servizi sociali, l’apprendimento degli adulti e la formazione professionale, ma se ne dà un giudizio sostanzialmente negativo. In particolare, le misure volte a promuovere le pari opportunità e le politiche in materia di equilibrio tra vita professionale e vita privata, così come l’offerta a costi accessibili di servizi di educazione e cura della prima infanzia e servizi di assistenza a lungo termine, rimangono modeste e scarsamente integrate.

Un ulteriore aspetto critico riguarda le competenze digitali, in particolare degli adulti in età lavorativa, e l’apprendimento a distanza. In generale tutto il settore dell’istruzione viene considerato in grave ritardo. I dati, del resto, parlano da sé. A parte il solito problema degli squilibri regionali, il tasso di abbandono scolastico è ben al di sopra della media dell’Unione (13,5 % contro 10,3 % nel 2019), in particolare per gli studenti che non sono nati nell’Unione (33 %). Anche il tasso di istruzione terziaria rimane molto basso (27,6 % nel 2019). Nel documento si ritiene “preoccupante”, inoltre, il basso tasso di partecipazione degli adulti scarsamente qualificati alla formazione, data la diminuzione dei posti di lavoro che richiedono basse qualifiche.

Si raccomanda, inoltre, di rafforzare l’accesso ai finanziamenti per le imprese. Ai fini della ripresa si insiste comunque sulla necessità di investire nella digitalizzazione dell’economia nelle infrastrutture digitali. Nel documento si legge che «i bassi livelli di intensità digitale e di conoscenze digitali delle imprese in Italia, in particolare delle PMI e delle microimprese, hanno impedito alle stesse di offrire servizi di commercio elettronico, ricorrere al telelavoro e fornire e utilizzare strumenti digitali durante il confinamento».

Infine, vi è il “capitolo” sull’amministrazione pubblica. L’accento è posto sull’efficacia. Le tre politiche menzionate, a titolo esemplificativo, nelle quali inciderebbe negativamente l’inefficacia amministrativa sono l’erogazione delle prestazioni sociali, le misure a sostegno della liquidità, l’anticipazione degli investimenti. Tra le carenze individuate figurano la lunghezza delle procedure, tra cui quelle della giustizia civile, il basso livello di digitalizzazione e la scarsa capacità amministrativa. Si sottolinea come procedure e controlli debbano essere attuati rapidamente, in un contesto in cui vengono significativamente incrementate le risorse pubbliche a sostegno dell’attività economica. Anche in questo caso l’enfasi è soprattutto sul tema della digitalizzazione. Si sottolineano la modesta interazione online tra le autorità e la popolazione, la bassa percentuale di procedure amministrative gestite dalle regioni e dai comuni che possono essere avviate e portate a termine interamente in modo elettronico, la mancanza di interoperabilità dei servizi pubblici digitali.

Con riferimento alle esigenze delle imprese si fa riferimento al miglioramento e semplificazione delle normative settoriali e alla rimozione degli ostacoli alla concorrenza.

Vi è, da ultimo, un generico riferimento all’importanza della prevenzione e repressione della corruzione nel settore pubblico.

Il Programma Nazionale di Riforme

Tornando alle linee guida del 22 febbraio 2021, valevoli per tutti gli Stati membri, la Commissione precisa che il piano di “ripresa e resilienza” deve essere presentato come singolo documento in cui sia integrato il Programma Nazionale di Riforme. Il piano, in sostanza, è un insieme di riforme e investimenti raggruppati in componenti tra loro coerenti. Una componente, a sua volta, è un elemento costitutivo del piano. Ogni componente deve riflettere riforme e investimenti prioritari in una certa area di policy o in settori, attività e temi connessi, miranti ad affrontare obiettivi specifici e in modo da formare un pacchetto coerente di misure complementari e a supporto le une delle altre. Particolare attenzione deve essere prestata alla qualità della pubblica amministrazione, visto il ruolo chiave che questa giocherà nell’attuazione delle riforme e degli investimenti in tutte le aree di intervento.

Che cosa è, dunque, una riforma nell’ambito del piano? Viene definita tale un’azione o un processo di cambiamento e miglioramento con un impatto significativo e durevole sul funzionamento di un mercato, di una politica, di strutture o istituzioni amministrative. Una “riforma” è anche un avanzamento rispetto a rilevanti obiettivi di policy, quali crescita, lavoro, resilienza e “transizione gemella” (vale a dire la transizione verde e quella digitale).

Esempi di riforme che abbiano un impatto positivo su tali obiettivi vengono individuati in pensioni, mercato del lavoro, educazione e formazione professionale, politiche attive del lavoro e servizi pubblici all’impiegoefficacia dell’amministrazione, nonché in riforme per migliorare il contesto operativo delle imprese attraverso la semplificazione dei requisiti e degli adempimenti. Altre riforme vengono definite “organiche” e riferite ai settori verdi e digitali.

Uno sguardo d’insieme al meccanismo posto in essere consente di notare che la riforma della pubblica amministrazione è trattata sia come obiettivo in sé sia come strumento per perseguire politiche di scopo (sanità, reddito di cittadinanza, servizi all’impiego, pagamenti alle imprese). Il che sembra suggerire che questi due punti di vista debbano essere considerati congiuntamente. Paradossalmente questo sguardo comprensivo esige differenziazione di analisi e ricette. In altre parole, l’amministrazione che deve pagare tempestivamente le imprese o rilasciare rapidamente le autorizzazioni che limitano le attività economiche probabilmente non è la stessa che deve assicurare servizi socio-assistenziali a misura di persona o aiutare i giovani a trovare il primo impiego. E non è certamente la stessa che abbia il compito di attuare, per esempio, la decisione di investire su una nuova tecnologia farmaceutica finanziandone la ricerca e poi definendo le regole del mercato per la produzione, distribuzione e somministrazione del risultato di quella ricerca (Pioggia).

Come, cosa, quando riformare? Chi decide?

L’impressione che si trae dal quadro esposto è che non si vada più in là dell’enunciazione di temi e argomenti e di alcuni obiettivi molto generali, per di più tra loro apparentemente eterogenei. È, quindi, plausibile pensare che la partita del “programma nazionale di riforme” si giocherà attraverso una sorta di serrata negoziazione tra istituzioni europee e governi nazionali. Se la Commissione sembra avere, infatti, ampi margini discrezionali nella fase di valutazione, la parola finale spetta pur sempre al Consiglio e quindi al momento intergovernativo.

Con riferimento alla pubblica amministrazione, l’obiettivo è l’efficacia. Come raggiungerlo, a parte la generica menzione della semplificazione delle regole e della digitalizzazione, è tutto da stabilire. Il dibattito riaccesosi in Italia non a caso mostra una notevole varietà di approcci e soluzioni.

Una prima questione è se occorra una grande riforma (strutturale) o sia meglio limitarsi a intervenire chirurgicamente in funzione delle esigenze di attuazione del PNRR, in pratica della capacità di spendere il fiume di denaro in arrivo. Chi pone l’accento sulla seconda alternativa si concentra sul regime degli appalti pubblici, sui controlli preventivi da sfoltire, sull’autorità di gestione del PNRR.

Nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato tra il Presidente del Consiglio, il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta e i sindacati confederali il 10 marzo 2021, si legge che non «non servono tanto nuove leggi, quanto la capacità di adattarsi a scenari estremamente mutevoli con flessibilità. Una flessibilità che riguarda tre variabili: lavoro (gestione delle risorse umane), organizzazione e tecnologia. Tutto ciò è possibile valorizzando le lavoratrici e i lavoratori della Pubblica Amministrazione». Il Patto individua la chiave di volta per il rilancio della Pubblica Amministrazione come “motore di sviluppo” nella contrattazione collettiva e integrativa (decentrata) come strumenti di valorizzazione, riqualificazione, aggiornamento, riorganizzazione, etc. del personale. In questo caso, quindi, si guarda all’insieme, non solo all’immediato, ma lo strumento non è quello della grande riforma per via legislativa. Ciò non toglie che il Patto possa essere considerato a buon diritto “un’azione o un processo di cambiamento e miglioramento” ai fini del Recovery Plan.

Un ulteriore approccio è quello di chi (Merloni e al.), in linea con gli obiettivi strategici contenuti nel Recovery Plan, ritiene necessario impiegare parte dei fondi per progetti di rafforzamento organizzativo delle amministrazioni pubbliche. Anche in questo caso l’obiettivo non è quello delle grandi riforme legislative, pur indicando alcuni necessari interventi sulla legislazione. Anzi, il punto di partenza è proprio la critica alle riforme amministrative come confinate alla semplificazione/riduzione normativa e delle procedure. 

Il quadro delle proposte e i diversi livelli del dibattito non possono essere ulteriormente riassunti in questa sede. Mi limito a richiamare la recente “invettiva” di Vincenzo Visco contro i “cultori del diritto amministrativo”. Secondo questa prospettiva, che muove dalla necessità di estirpare in radice la cultura “uniformante” del diritto amministrativo, la «pubblica amministrazione italiana andrebbe ricostruita dalle fondamenta. Qualsiasi attività amministrativa per funzionare dovrebbe disporre di gradi rilevanti di autonomia nella organizzazione interna, nella gestione del personale, nelle procedure da seguire …».

Non è detto che tale “programma” sia da intendere nell’ottica del motto, il mantra dell’ultimo trentennio, “meno amministrazione” più libertà e mercato. Lo si può anche intendere in questo senso naturalmente, che è quello delle tante leggi di liberalizzazione, aziendalizzazione, privatizzazione, etc. Lo si potrebbe intendere, invece, come responsabilizzazione dell’amministrazione al servizio della società. Una questione interessante al riguardo è quale modello di amministrazione – se uno – emerge dal pacchetto NGEU e dalle “raccomandazioni”. Non sembra che il linguaggio, la cifra culturale complessiva, sia ancora quella del New Public Management.

Sembra esservi spazio per ragionare, invece, attorno all’idea che l’azione di governo, la decisione delle politiche, e il suo aspetto operativo, l’amministrazione, siano creatori di valore e non semplicemente attori che intervengono per “guarire” i fallimenti del mercato. Questa è l’ottica indicata da Mariana Mazzucato nella sua idea dell’amministrazione per missioni, rifinita nel tempo a partire dalla demolizione del mito che solo “il privato” crea innovazione e valore.

Le condizioni/riforme/componenti del PNRR riguardano, del resto, obiettivi per i quali il funzionamento dell’amministrazione (e quindi la sua riforma) sono funzionali a politiche sociali e ambientali specificamente raccomandate. Si pensi alle “raccomandazioni” sopra riferite sul rafforzamento del sostegno al reddito e del reddito sostitutivo o alla prestazione di servizi per l’inclusione sociale e nel mercato del lavoro.

Tutto questo, in conclusione, riconduce alla domanda sul tipo di “condizionalità” posta dal Recovery Fund. In altri termini, se il riferimento nel dibattito a questo termine – che richiama la diversa stagione della risposta alla crisi finanziaria del 2008 e all’austerity come condizione agli aiuti– sia oggi appropriato. Fermo restando, al riguardo, il problema dei margini ampi di discrezionalità/negoziazione che potrebbero determinare “condizionamenti” non scritti. Una interpretazione maliziosa potrebbe anche portare a ritenere che la vaghezza del quadro normativo celi proprio la volontà delle istituzioni europee di dettare le regole in corsa in modo più libero da vincoli predeterminati.

1 Questo articolo rappresenta una ideale introduzione all’incontro-dibattito su La riforma della Pubblica Amministrazione nel prisma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che si svolgerà il 14 aprile 2021 alle 16.