Orizzonti del Diritto Pubblico ha intervistato i Professori Francesco Merloni e Mauro Volpi in occasione dei referendum del 12 giugno 2022, inerenti alcuni quesiti di primaria rilevanza in tema di giustizia.
Intervista a cura di Anna Licastro e Gloria Pettinari, della redazione di Orizzonti del Diritto Pubblico.
E’ disponibile la registrazione del seminario telematico “La riforma della Pubblica Amministrazione nel prisma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, organizzato da Orizzonti del Diritto Pubblico e tenutosi il 14 aprile 2021 sulla piattaforma Zoom.
Hanno partecipato: Carla Barbati (Università IULM, ex Presidente del Consiglio Universitario Nazionale); Carlo Cottarelli (direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, Università Cattolica); Elisa D’Alterio (Università di Catania); Francesco Merloni (Università di Perugia, ex Presidente ANAC); Stefano Civitarese Matteucci (Università di Chieti-Pescara); Alessandra Pioggia (Università di Perugia); Gianluca Gardini (Università di Ferrara).
di Francesco Merloni, Enrico Carloni, Matteo Falcone, Alessandra Pioggia, Benedetto Ponti
Università di Perugia
Premessa
1. Il PNRR è l’occasione irripetibile per porre mano al rafforzamento del sistema delle pubbliche amministrazioni che negli ultimi tre decenni hanno subito un grave processo di impoverimento, soprattutto quanto alla disponibilità di adeguate risorse di personale, conoscitive e tecniche.
2. Investire immediatamente sulla rinnovata qualità delle pubbliche amministrazioni significa anche chiudere la fase della ricerca di soluzioni emergenziali e di deroga alla normativa vigente, per inseguire incerti e illusori obiettivi di semplificazione.
3. Le riforme amministrative che hanno seguito la via della semplificazione/riduzione normativa o della semplificazione della sola attività amministrativa, pur necessarie, si sono rivelate insufficienti. Occorre creare le condizioni organizzative di un migliore funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Se il funzionario responsabile dell’istruttoria in un procedimento amministrativo non dispone di conoscenze aggiornate e del supporto di competenze tecniche di qualità, ridurre i suoi adempimenti “burocratici” serve solo a ridurre la qualità del risultato dell’azione amministrativa.
Si tenta qui di indicare alcuni progetti di rafforzamento organizzativo delle amministrazioni, che possono essere resi operativi, da finanziare con i fondi del PNRR.
4. I progetti si basano su investimenti mirati per il rafforzamento di alcune parti strategiche del sistema amministrativo e per la costruzione condivisa (tra livelli di governo) delle necessarie riforme organizzative. La spesa, da quantificare, da far gravare sui fondi del PNRR, in coerenza con le caratteristiche generali del Fondo, copre in gran parte la costituzione di task force per l’attivazione dei progetti e l’avvio di politiche di rafforzamento a regime del sistema. La spesa, quindi, riguarda investimenti a carattere temporaneo, che però creano i presupposti per investimenti di trasformazione organizzativa a regime. Il problema della spesa non riguarda tanto la sua entità, in generale piuttosto modesta salvo le proposte relative al reclutamento di personale, ma la sua destinazione alla costruzione condivisa, in leale collaborazione tra livelli di governo, di ipotesi di rafforzamento delle capacità operative delle diverse parti del sistema amministrativo italiano.
5. Fondamentale una politica accelerata di reclutamento nazionale di un numero ristretto di personale tecnico altamente qualificato, da assegnare non a pioggia ma a parti strategiche del sistema amministrativo, quelle nelle quali è più sentita l’esigenza di rafforzamento delle funzioni conoscitive e tecniche, anche per consolidare le capacità di interlocuzione delle amministrazioni con i soggetti privati interessati a partecipare a politiche pubbliche.
6. In generale i progetti presuppongono l’attivazione, in forme operative, della leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, Stato, Regioni ed enti locali. Ciascun progetto dovrà prevedere un apposito ufficio interistituzionale temporaneo, composto da funzionari provenienti dai tre livelli di governo (statale, regionale, locale), eventualmente integrati da esperti esterni (non in situazione di conflitto di interessi), per la gestione delle attività, il trasferimento dei fondi e il monitoraggio dei risultati via via raggiunti.
7. Per l’attuazione dei progetti si dovrà limitare allo stretto necessario la parte normativa (primaria e secondaria) di modifica della disciplina vigente. La gran parte deve essere realizzata attraverso l’attività delle amministrazioni individuate nei singoli progetti e destinatarie di compiti precisi, eventualmente preceduta da accordi di programma tra amministrazioni (da concludersi in sede nazionale (Conferenze) e regionale (Conferenze regionali).
8. Per le modifiche legislative necessarie, invece del ricorso a decreti legge, si dovrebbe istituire una Commissione parlamentare bicameralead hoc, che abbia la durata dell’attuazione del PNRR, con il compito di predisporre i testi con il contributo tecnico delle task force amministrative che presiedono ai progetti. I relativi disegni di legge dovrebbero avere una assoluta corsia preferenziale.
PROGETTI DI INTERVENTO SULL’ASSETTO DEL SISTEMA AMMINISTRATIVO
Rafforzamento di Province, Città metropolitane e Comuni capoluogo di provincia, per un totale di 200 centri di riferimento per le amministrazioni pubbliche operanti a dimensione locale per lo svolgimento di servizi altamente qualificati (attività di Stazione appaltante qualificata, di supporto alla elaborazione di progetti per il finanziamento europeo, di supporto per i processi di digitalizzazione delle amministrazioni).
1.1 – Attualmente vi sono 86 Province e 14 Città metropolitane, più altrettanti (100) Comuni capoluogo. L’investimento sulle capacità tecniche e operative di queste amministrazioni, chiamate ad erogare servizi tecnici altamente qualificati a favore delle amministrazioni operanti in sede locale (comuni, istituzioni scolastiche, enti pubblici e enti di diritto privato in controllo pubblico) si rivela strategico per il buon funzionamento dell’intero sistema delle amministrazioni pubbliche.
1.2 – Si propone di reclutare e formare, con costi a valere sul PNRR, una media 20 tecnici qualificati, assegnati a ciascuno dei 200 centri (per un totale di 4.000 funzionari), in rapporto alle loro esigenze e ai servizi attivati, con retribuzioni sostenute dal Fondo per tre anni. Decorsi i tre anni, i costi si dovrebbero sostenere sulla base delle entrate per i servizi resi (servizi di stazione appaltante, di progettazione, informatici, altri) dall’amministrazione a favore di altre amministrazioni (es. Comuni, università, istituzioni scolastiche, ordini professionali, società in house) operanti nel loro territorio.
1.3 – A titolo di esempio, si tratta di reclutare competenze non “giuridico-amministrative”, ma tali da consentire alle amministrazioni il pieno esercizio di funzioni ad alto contenuto tecnico: ingegneri civili, architetti, informatici, geologi, economisti dell’organizzazione e analisti di mercato, esperti di gestione di progetti a finanziamento pubblico-privato, esperti di audit e così via.
1.4 – Il reclutamento avviene con concorsi nazionali con procedure accelerate, con priorità per i candidati con titoli di studio elevati. Superata la prima selezione, i candidati sono immessi nelle amministrazioni per una prima formazione professionale sul campo, per un anno. Formazione della graduatoria finale e distribuzione definitiva dei vincitori alle amministrazioni. Il concorso nazionale previene i rischi di scarsa qualificazione professionale e di clientelismi locali.
1.5 – Prevedere un “premio”, consistente nell’assegnazione di ulteriori tecnici qualificati, fino ad un massimo di 10, per i centri risultanti dalla creazione, entro il termine di attuazione del PNRR, di un unico ufficio (ad esempio un’unica Stazione appaltante) con personale della Provincia/Città metropolitana da un lato e del Comune capoluogo dall’altro.
1.6 – Inquadrare il personale reclutato in una speciale fascia della carriera dei tecnici laureati (una categoria “D super”). Tutto il personale che svolge compiti di progettazione è destinatario di incentivi, fino ad un tetto massimo fissato per legge.
1.7 – Digitalizzare in forma accelerata le procedure di gara e gli strumenti per la progettazione di opere, acquisti e servizi di questi 200 centri. Per ulteriori dettagli vedere il punto 9.2.
2. Individuazione, tramite fusioni o forme associative robuste, di un numero ridotto di “amministrazioni forti” per lo svolgimento delle funzioni fondamentali dei Comuni.
2.1 – Attualmente 7.500 degli 8.000 Comuni italiani hanno una dimensione di popolazione inferiore ai 15.000 abitanti; 4.700 hanno una popolazione inferiore ai 3.000 abitanti. Queste dimensioni non assicurano un minimo di capacità operativa per lo svolgimento delle funzioni fondamentali affidate ai Comuni in applicazione del principio di sussidiarietà, la novità più significativa della riforma costituzionale del 2001 (art. 118 Cost.). Senza toccare le identità amministrative attuali (senza procedere a fusioni forzate), si tratta di promuovere la costituzione di “amministrazioni comunali forti” (sul modello francese) per una dimensione media non inferiore ai 20.000 abitanti.
2.2 – Al fine di incentivare processi di fusione o di costituzione di forme associative intercomunali, con attribuzione prioritaria di risorse finanziarie, di personale e informatiche ad “amministrazioni comunali forti”, il PNRR dovrebbe finanziare la costituzione di apposite task force: una a livello nazionale, per la definizione degli obiettivi di breve e medio termine (dimensione territoriale e di popolazione da raggiungere, funzioni fondamentali da svolgere) e per il monitoraggio complessivo. Una per ciascuna Regione per l’individuazione, il più possibile condivisa con i Comuni interessati, degli ambiti territoriali e per l’attivazione di politiche di assistenza dei Comuni nei processi di costruzione effettiva delle nuove amministrazioni comunali forti, con la possibilità di finanziare, sempre con fondi PNRR da utilizzare entro il 2026, i migliori e più innovativi progetti di costituzione delle nuove amministrazioni. Le task force, una volta costituite con i fondi del PNRR, alla scadenza del Piano proseguono la loro attività con fondi ordinari.
3. Accelerazione del processo di riduzione drastica del numero degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle amministrazioni territoriali.
3.1 – Il d.lgs. 175 del 2016 pone il giusto obiettivo della revisione delle attuali partecipazioni delle amministrazioni pubbliche in società di capitali, al fine di ridurre in modo drastico il numero di soggetti oggi operanti anche perché la gran parte di queste società ha strutture organizzative ridottissime, se non inesistenti. Si tratta di porre l’obiettivo della riduzione, entro il termine di validità del PNRR, a non più di 3.000 degli attuali 8.000 enti; eliminare i soggetti che abbiano strutture organizzative troppo esili (ad esempio abbiano meno di 20 dipendenti).
3.2 – Per l’effettiva semplificazione del sistema si dovrebbe comprendere nell’obiettivo di riduzione anche gli enti costituiti o partecipati da pubbliche amministrazioni nella forma di fondazioni e associazioni.
3.3 – Poiché il modello di enforcement di questa politica si è rivelato molto debole, si potrebbe, con i fondi del PNRR, costituire una task force nazionale (dando maggiori risorse e poteri al MEF) e task force regionali per la rapida revisione della situazione degli enti. La task force nazionale dovrebbe avere il potere di respingere i progetti di riorganizzazione presentati dagli enti territoriali giudicati insufficienti, dare un tempo ristretto per la loro modifica e, in caso di inerzia, proporre all’autorità politica (nazionale e o regionale) competente la soppressione dell’ente dichiarato inutile.
PROGETTI DI INTERVENTO SULL’ORGANIZZAZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
4. Piano di reclutamento di almeno 5.000 funzionari ad elevata competenza tecnica in un triennio.
4.1 – Oltre ai 4.000 tecnici reclutati prioritariamente per i 200 centri di cui al punto 1, reclutare, con selezioni nazionali rapide svolte a livello provinciale, altri 5.000 tecnici, con le competenze qualificate esemplificativamente indicate al punto 1.3., da formare, assegnare alle amministrazioni e retribuire per i primi tre anni a carico del Fondo.
4.2 – Concorsi con procedure accelerate, con priorità per i candidati con titoli di studio elevati. Immissione nelle amministrazioni, per un anno, per apprendistato e formazione professionale sul campo. Formazione della graduatoria finale e distribuzione definitiva dei vincitori alle amministrazioni (come al punto 1.2.).
4.3 – Il concorso nazionale si conclude con la creazione di graduatoria specifiche per le diverse professionalità, comprendenti un numero di candidati non inferiore a 6.000 (complessivamente per diverse professionalità), cui le amministrazioni potranno attingere per il reclutamento, sempre a tempo indeterminato. In tal modo, oltre a garantire la qualità nazionale, si evita la creazione di nuovo precariato.
4.4 – Task force nazionale e task force provinciali per la gestione del progetto, con poteri di assegnazione definitiva.
4.5 – Al fine di chiarire l’utilizzo mirato di queste competenze, si dovrà istituire una distinta carriera, non dirigenziale, ma retribuita in modo analogo (sul modello della “dirigenza” medica), da utilizzare in strutture interne all’amministrazione per la copertura delle esigenze tecniche degli uffici (ma anche di altre amministrazioni). Il tecnico qualificato deve avere una retribuzione competitiva, ma non per questo deve avere incarichi dirigenziali.
5. Digitalizzazione. Rendere disponibili gratuitamente alle amministrazioni piattaforme informatiche e software interoperabili e sicuri.
5.1 – Acquistare piattaforme, o in alternativa commissionare con contratti pubblici la predisposizione di piattaforme informatiche e di software, utili per la gestione dei documenti e dei procedimenti amministrativi, per la gestione dei servizi digitali e per la raccolta, la conservazione e l’analisi statistica e algoritmica dei dati. Le piattaforme e i software devono essere acquistati e commissionati sulla base degli standard linguistici e tecnici comuni di cui al punto 6.1. Le piattaforme e i software commissionati sono di proprietà pubblica.
5.2 – Distribuire gratuitamente le piattaforme alle amministrazioni, con priorità ai 200 centri di riferimento di cui al punto 1.
6. Digitalizzazione. Rendere compatibili e interoperabili i linguaggi operativi utilizzati dalle amministrazioni.
6.1 – Definire standard comuni a tutte le amministrazioni relativamente ai linguaggi operativi e alle caratteristiche tecniche minime che le piattaforme informatiche, i software e gli strumenti di analisi dei dati pubblici o utilizzati dalle amministrazioni pubbliche devono possedere. Gli standard comuni devono: a) tenere conto della specificità delle funzioni e delle attività amministrative in cui verranno utilizzate; b) tenere conto della complessità dei livelli organizzativi delle amministrazioni pubbliche in cui saranno utilizzate e dei layer tecnici degli strumenti informatici; c) tenere conto delle migliori esperienze emerse nel sistema amministrativo.
6.2 – Per garantirne la rapidità e la condivisione con tutti i livelli di governo, la definizione degli standard comuni deve essere affidata ad un unico soggetto pubblico (anche al soggetto di cui al punto 7.1.), con il potere di coordinare le amministrazioni al fine di raggiungere un accordo vincolante sugli standard comuni e di vigilare sulla loro attuazione. In alternativa la definizione degli standard comuni può essere affidata ad una delibera vincolante della Conferenza Unificata, coordinata dal Dipartimento per la transizione digitale.
7. Unificazione massima delle banche dati aventi il medesimo oggetto.
7.1 – Attribuire ad unico soggetto pubblico (il Ministro per la transizione digitale, ad esempio) il potere di coordinare le banche dati nazionali esistenti, con potere di sopprimere quelle ridondanti, individuando un solo ente pubblico nazionale (un Ministero, un ente, un’AAI) per la gestione unificata di ciascuna delle banca dati confermate, che sia anche garante degli interessi conoscitivi di tutte le amministrazioni coinvolte.
7.2 – Costituire presso il soggetto di cui al punto 7.1., con i fondi del PNRR, una task force, nella forma di un ufficio interistituzionale temporaneo, con il compito di predisporre gli elementi conoscitivi utili per la individuazione delle banche dati nazionali da confermare e razionalizzare.
7.3 – L’amministrazione titolare della banca dati coordina l’intero processo di acquisizione ed elaborazione dei dati e l’accesso dei cittadini e delle imprese alle informazioni detenute dalla banca dati. Le amministrazioni che forniscono i dati hanno immediato accesso ai dati e alle loro elaborazioni, anche per dati relativi ad altre amministrazioni.
8. Rafforzare le capacità conoscitive delle amministrazioni pubbliche.
8.1 – Rafforzare la conoscenza, la raccolta e l’elaborazione di dati sulla realtà da governare attraverso gli strumenti avanzati di statistica e di analisi algoritmica (data analytics), incrementando il numero di basi di dati di interesse nazionale e rafforzando gli strumenti di analisi algoritmica all’interno delle piattaforme esistenti, come la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND).
8.2 – Rafforzare la conoscenza, la raccolta e l’elaborazione dei dati sulle condizioni operative delle amministrazioni pubbliche. In particolare si potrebbe finanziare con i fondi PNRR la costituzione, presso l’ISTAT, di un “Osservatorio”, nella forma di un ufficio interistituzionale temporaneo, con il compito dapprima di coordinare le fonti di conoscenza esistenti sul sistema amministrativo, individuando altri oggetti di informazione oggi non coperti e razionalizzando il sistema di trasmissione dei dati in conformità al principio dell’ “unico invio”, nella prospettiva di giungere alla costruzione di una banca dati ad hoc (una “Banca Dati Nazionale sulle Amministrazioni Pubbliche” (BNAP)), nella quale sarà possibile raccogliere, conservare, aggiornare tempestivamente ed elaborare i dati sull’organizzazione, sul personale, sui singoli settori amministrativi, sulle funzioni amministrative e sulle varie tipologie di enti pubblici.
8.3 – Promuovere la costituzione, presso tutte le amministrazioni pubbliche e gli enti privati del settore pubblico, di un ufficio unico dedicato ai sistemi informativi, alla statistica e alla data analysis capace di utilizzare al meglio gli strumenti di raccolta e analisi dei dati e svolgere le funzioni di cui al punto 8. Una parte delle assunzioni di cui al punto 1 e al punto 4 sono riservate a figure professionali capaci di elaborare ed interpretare i dati nei processi decisionali da destinare a queste funzioni.
9. Rafforzare la trasparenza delle amministrazioni.
9.1 – Attribuire ad un’unica autorità indipendente (oggi l’ANAC, domani anche una unica Autorità per le informazioni pubbliche) i poteri di disclosure per l’accesso FOIA e di vigilanza sull’attuazione degli obblighi di pubblicazione.
9.2 – Digitalizzare con priorità assoluta tutte le procedure di programmazione, progettazione, affidamento, verifica dell’esecuzione e collaudo dei contratti pubblici, a fini di tracciabilità, controllo e trasparenza. Le necessità è quella di attuare velocemente le disposizioni presenti nel Codice dei contratti, come segnalato nel documento dell’Autorità nazionale anticorruzione del 27 Maggio 2020, in particolare il Piano nazionale in tema di procedure telematiche di acquisto (ex art. 212, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 50/2016), e di integrare le norme sulla digitalizzazione della fase esecutiva dei contratti pubblici.
9.3 – Razionalizzare la disciplina e le procedure organizzative di pubblicazione dei dati e delle informazioni pubbliche nel senso del potenziamento, sotto il profilo della rilevanza dei dati, documenti e informazioni da rendere trasparenti per il cittadino, degli obblighi di pubblicazione, anche graduando la loro introduzione in rapporto all’effettiva digitalizzazione delle amministrazioni.
10. Rafforzare l’etica pubblica.
10.1 – Razionalizzare la disciplina sui conflitti di interesse, adottando soluzioni omogenee per tutti i funzionari pubblici (politici e professionali) e affidando la vigilanza all’ANAC.
10.2 – Rafforzare i doveri di comportamento dei funzionari pubblici, rafforzando la vigilanza ANAC sui Codici e sui comportamenti (in via consultiva).
10.3 – Rafforzare la responsabilità disciplinare, come strumento per dare rapida effettività ai doveri di comportamento, senza attendere l’esito dell’eventuale procedimento penale.
10.4 – Curare, in sede di reclutamento e di formazione continua, la “competenza etica” dei funzionari pubblici, cioè la conoscenza approfondita di tutti gli strumenti a disposizione delle amministrazioni al fine di garantire l’integrità e l’imparzialità, delle amministrazioni e dei loro funzionari.
Le vicende di questi ultimi giorni ci dimostrano che non sono gli Stati, ma le industrie farmaceutiche.
I Piani vaccinali, faticosamente elaborati formulando scelte difficili su quali categorie di persone vaccinare per prime, sui vincoli da imporre, sulle certificazioni da rilasciare, appaiono improvvisamente rivoluzionati dalla possibilità della casa farmaceutica di ridurre unilateralmente l’entità delle forniture, o, come sembra emergere da ultimo, da clausole contrattuali secondo cui il fornitore deve limitarsi a fare “del proprio meglio” per rispettare gli obblighi assunti. E quando c’è chi paga di più, il meglio per l’impresa è presto detto.
La debolezza degli Stati di fronte a tutto questo è quasi sconcertante. Ma non incomprensibile, dal momento che le istituzioni pubbliche in questo gioco hanno scelto di muoversi come semplici acquirenti di un prodotto sul mercato e i loro interlocutori sono imprese in una posizione di straordinaria forza.
Nei primi mesi dall’inizio della pandemia non sono mancate iniziative internazionali per una strategia comune di lotta contro il coronavirus. Il 24 aprile l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha presentato un progetto, redatto con l’assenso della maggioranza degli Stati del G20, di azioni comuni per accelerare lo sviluppo, fra le altre cose, di vaccini ed assicurare così, in tutto il mondo, l’accesso alle cure contro la pandemia. Ma, già ad ottobre, erano rimaste solo Sud Africa ed India a richiedere misure comuni per rendere accessibile a tutti un vaccino contro il Covid-19.
Con la immissione in commercio dei primi vaccini, il quadro è definitivamente cambiato e la questione è diventata puramente concorrenziale: chi riesce ad acquistare più vaccini più in fretta a scapito degli altri.
Quello che dobbiamo domandarci, e su cui è necessario stimolare un dibattito per ora quasi assente, è se questa sia l’unica strada percorribile. La risposta per chi studia e insegna il diritto delle istituzioni pubbliche è scontata, tanto da mettere in dubbio anche la sensatezza della domanda. Il potere pubblico esiste proprio per tutelare e garantire quei diritti e quegli interessi che le libere dinamiche della società, in cui chi è più forte detta le proprie condizioni a chi è più debole, non possono assicurare.
La vicenda del vaccino per immunizzare la collettività da un virus contagioso e, per molti, mortale è un caso di scuola. Di fronte ad un interesse come quello a interrompere il vorticoso processo di contagio dell’intera umanità, non c’è dubbio che la regia della soluzione debba essere nelle mani delle istituzioni pubbliche, nazionali e sovranazionali.
Se ci spostiamo su questo doveroso piano gli strumenti non mancano.
Cominciamo da quelli di scala nazionale.
Tutti i singoli paesi, europei e non, si sono preoccupati di finanziare, spesso generosamente, le case farmaceutiche per le attività di ideazione, sviluppo (e poi produzione) dei vaccini. Il finanziamento sembra in molti casi concesso a fondo perduto, come contributo ad un’attività che resta privata. Eppure da sempre gli Stati “commissionano” attività di ricerca volta alla tutela di interessi pubblici nella forma di contratti di ricerca (poi di sviluppo e poi produzione) nei quali è scontato che la proprietà del prodotto è di chi la finanza, cioè dello Stato. Questa è la regola nei contratti di ricerca a fini militari (o di produzione industriale o agricola), Ciò che è normale per le ricerche in campo di produzione di armi, non viene utilizzato per la produzione di strumenti di tutela di beni fondamentali quali la vita e lo sviluppo economico di un Paese. Inutile qui richiamare i vantaggi di una situazione in cui è lo Stato il proprietario del know how: se il vaccino non viene prodotto nella quantità e con la qualità adeguata alle esigenze di interesse generale, lo Stato ricorre ad altri fornitori. Al limite potrebbe produrre in proprio, con propri organismi, il vaccino. E’ questa la soluzione obbligata che si dovrebbe seguire per il cosiddetto “vaccino italiano”: non ha senso dare ingenti somme a fondo perduto, quando lo stesso finanziamento può essere concesso attribuendo allo Stato la proprietà del vaccino.
Se, poi, il vaccino è stato realizzato senza sostegno pubblico è certamente possibile decidere di acquistarlo, attivando però garanzie proprie dei contratti pubblici, quali ad esempio la trasparenza delle condizioni contrattuali. Una trasparenza, che in questi giorni viene “minacciata” come strumento di pressione nei confronti delle case farmaceutiche inadempienti, ma che è imposta da normative nazionali, come il codice dei contratti pubblici, e comunitarie: la Direttiva del 1988 (89/105/CEE del Consiglio) riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi dei farmaci. Esistono poi strumenti pubblici di gestione del contratto in essere, che consentono allo Stato di intervenire sul rapporto per modificarne alcune condizioni, se lo richiedono esigenze pubbliche. Nel caso specifico dei farmaci è, ad esempio, possibile incidere unilateralmente sul costo, impiegando il potere di imposizione di sconti obbligatori.
Se tutto questo non basta a garantire adeguatamente le fondamentali esigenze della collettività, perché, ad esempio, è la fornitura a non essere sufficiente, si può pensare a strumenti più incisivi, che arrivino all’espropriazione della proprietà brevettuale attraverso una licenza obbligatoria (d.lgs. 30 del 2005, art. 141), per consentire una produzione massiccia del vaccino da parte di altri stabilimenti farmaceutici, pubblici e privati. Se anche questo, poi, non dovesse essere sufficiente, perché, ad esempio la produzione rimane inadeguata per quantità, si potrebbe ricorrere alla requisizione in uso di stabilimenti che realizzano prodotti similari, da riconvertire temporaneamente in produttori di vaccino.
A livello internazionale invece, quel che gli Stati possono e debbono fare, è innanzi tutto elaborare strategie comuni, presentandosi, come minimo, come un acquirente comune, dotato di maggiore forza contrattuale e indisponibile a trattamenti diversi sulla base della capacità di spesa. Il prezzo imposto a livello globale deve essere adeguato a garantire una fornitura eguale a tutti, per motivi di strategia nella garanzia della salute, che, come abbiamo visto, si tutela anche attraverso il coordinamento e la condivisione delle misure, e per motivi elementari di civiltà: non deve essere possibile, come si leggeva qualche giorno fa nel sito della BBC che alcuni Paesi africani ricevano un numero di dosi pari a poche decine di unità.
Ma è ben possibile che anche in questo modo la fornitura dei pochi vaccini dei quali si sia dimostrata l’efficacia non sia sufficiente. In una eventualità come questa, che è certamente riconducibile ad una emergenza di sanità pubblica, come prevede lo stesso TRIPs (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), può sospendersi il brevetto e rendere il vaccino producibile da chiunque.
Ora proviamo a immaginare di trovarci nella situazione in cui il virus sia talmente diffuso da non essere più controllabile e da rendere inutile qualsiasi azione, per quanto forte, posta in atto singolarmente da uno o più Paesi. Immaginiamo che la grande diffusione del virus inizi a produrre varianti del patogeno. Immaginiamo che alcune case farmaceutiche abbiano sviluppato, con fondi pubblici di Stati diversi, vaccini efficaci, ma che non siano in grado di fornirli a tutta l’umanità in tempi rapidi.
Immaginiamo allora che vengano impiegate le convenzioni internazionali vigenti e che gli Stati si accordino per un’azione comune e, facendo valere la deroga prevista dall’accordo di Marrakesh che ha istituito l’Omc e l’articolo del TRIPs che consente la sospensione del brevetto, coordinino una produzione massiccia dei vaccini in tutti gli stabilimenti farmaceutici del mondo, riconvertendo anche industrie diverse per realizzare una produzione più intensiva. Se questo non fosse sufficiente, immaginiamo la a conclusione di una nuova e straordinaria convenzione internazionale, promossa dall’OMS, aperta al maggior numero di stati nazionali, con la quale si stabilisca che il know how relativo alla composizione e alla produzione di tutti i vaccini via via realizzati non è assistito da brevetti, ma reso di pubblico dominio in modo da rendere qualsiasi vaccino realizzabile da ciascun singolo produttore (salvo i necessari controlli delle autorità nazionali in fase di distribuzione). Immaginiamo che la campagna vaccinale sia mondiale, e che nei Paesi che hanno una capacità produttiva minore arrivino anche i vaccini che sono stati realizzati dagli Stati che ne hanno di più.
Immaginiamo che in un anno l’umanità riesca ad uscire con successo dalla pandemia.